Nonostante i numerosi e significativi progressi scientifici in ambito oncologico, che hanno
determinato un netto miglioramento degli approcci terapeutici e un aumento della
sopravvivenza dei pazienti, il cancro continua ad associarsi, nell’immaginario individuale e
collettivo, a significati di sofferenza fisica e psichica, di morte ineluttabile, di stigma e
diversità, di colpa e vergogna.
Di fondamentale importanza appare così la psiconcologia, una disciplina che si pone come
interfaccia tra l’oncologia da un lato e la psicologia e la psichiatria dall’altro. Viene preso
in considerazione il vissuto del malato, i cambiamenti che la realtà individuale e
relazionale subiscono a causa della malattia e le conseguenze psichiche che ne derivano.
L’approccio al paziente, quindi, è di tipo integrato: viene considerata la persona in toto con
le sue molteplici necessità e non solo la malattia e i sintomi che presenta. Promuovere una
prospettiva multidisciplinare implica perciò che si tenga in considerazione, oltre agli aspetti strettamente medici e ai dati biologici, anche l’analisi e l’interpretazione delle componenti cognitive (credenze e conoscenze sulla malattia), psicologiche (livello di stress, ansia, depressione) e comportamentali (stili di vita) di ogni paziente, al fine di promuovere un processo di cura basato sulla compliance. In questo scenario la comunicazione, come processo complesso d’influenzamento reciproco, a cui l’individuo partecipa con le sue emozioni, aspettative, motivazioni, assume un importanza prioritaria.
Oggi parlare di cancro non sorprende. È una parola che è sempre più familiare e vicina di casa. Entra nelle nostre vite per vie traverse, in modo più o meno subdolo e si insidia tra le fessure delle nostre angosce e paure. La paura della morte da sempre accompagna la parola cancro, sinonimo nel gergo comune di immane catastrofe e cambiamenti irreversibili. “Quando la tempesta sarà finita, probabilmente non saprai neanche tu
come hai fatto ad attraversarla e a uscirne vivo. Anzi, non sarai neanche sicuro se sia finita per davvero. Ma su un punto non c’è dubbio. Ed è che tu, uscito da quel vento, non sarai lo stesso che vi è entrato” (Murakami H., 2008)
La malattia cambia completamente le lenti attraverso cui guardiamo il mondo, è luce e allo
stesso tempo buio, speranza e allo stesso tempo disperazione.
Per molti anni su questo tema l’informazione per il grande pubblico è stata sorvolata, dato che l’argomento suscitava timore e ancora oggi, gli stessi professionisti della salute arrancano nel buio di fronte ad una diagnosi di tumore. Qualunque sia la diagnosi, la prognosi, la risposta alle terapie, non esistono tumori di serie B. Il cancro rappresenta sempre per il paziente e per la sua famiglia un fulmine a ciel sereno, una prova esistenziale sconvolgente. Il rischio è di venire completamente travolti da un evento traumatico che fa vacillare le certezze della persona, nonostante la sua resilienza e le sue strategie di coping. Il coping rappresenta una modalità cognitivo-comportamentale con il quale un individuo affronta un evento stressante e le sue conseguenze emozionali. La capacità di far fronte ad una crisi esistenziale dipende da diversi fattori:
dal tipo di patologia, dal livello di adattamento precedente alle situazioni di malattia, da fattori culturali e religiosi, dall’assetto psicologico, dalla personalità e da eventuali disturbi psichiatrici presenti (Putton et al, 2011).
Per quanto le risorse possano essere molte, queste non sono infinite e i fattori di rischio a cui si è esposti hanno un effetto cumulativo. Il modo di gestire la “crisi emotiva” generata dalla diagnosi medica e l’atteggiamento di fronte all’evento spesso traumatico influenzerà il tipo di adattamento psicosociale alla malattia.
In analisi di tutto ciò, affiora chiaramente l’esigenza che i modelli terapeutici tengano conto dell’unità della persona malata (mente-corpo), nonché della necessità per ciascun individuo di essere curato in tutti gli aspetti della patologia.
Secondo tale prospettiva, le ricerche in campo psiconcologico, contribuiscono a rappresentare con maggiore sensibilità le reciproche influenze tra malattia organica e disagio psicologico. La psiconcologia si propone infatti di promuovere approfondimenti teorici e applicativi clinici mediante il contributo di differenti discipline: la medicina oncologica, la psicologia e la sociologia.
Il fine della psiconcologia è sostenere un processo di cura, complessivamente inteso del paziente neoplastico, attraverso un approccio multidisciplinare.